lunedì 3 dicembre 2012

Per un Manifesto dell'Alternativa comune


di Daniele David e Luigi Sturniolo

1) Il nostro tempo è il tempo della crisi, che affonda le radici nelle speculazioni finanziarie e in una profonda disuguaglianza sociale, frutto di un colossale trasferimento di ricchezza dal lavoro al capitale. La narrazione che ne viene offerta la avvolge in una nube di indeterminatezza, una sorta di destino malvagio al quale tutti dobbiamo corrispondere attraverso un regime di austerità. Cause e colpe vengono snocciolate fino a coinvolgere l’intero tessuto sociale, per poi trasformarsi in una sorta di colpevolizzazione collettiva.
Alla fine, le responsabilità vere si nebulizzano, mentre le vittime reali rimangono sul terreno, travolte dall’impoverimento generalizzato e dall’assenza di futuro. Ciò che mai viene detto è che la crisi si presenta oggi come manifestazione di un limite strutturale del sistema economico. Non si è certamente persa la capacità di produrre beni, è saltato il sistema di misura degli stessi, la loro monetizzazione.
E’ fallita una organizzazione sociale che si reggeva sulla centralità di un luogo per natura antidemocratico, qual è quello dell’impresa. Un luogo governato da forme di potere di stampo proprietario e autoritario, distruttive della ricchezza sociale che i territori pagano sotto forma di privatizzazione di servizi, aumenti delle tariffe e disoccupazione di massa.

2) La crisi è anche ecologica e della democrazia. La manifestazione del limite ecologico strutturale, con le città usate per accrescere le ricchezze private, è data dal "caso Taranto", dove lo stato interviene a sostegno di un privato che ha realizzato immensi profitti mentre migliaia di persone morivano di tumore.
L’impresa, nella contraddizione produzione/inquinamento, esercita un potere, quello del denaro e del profitto, in grado di inchiodare i lavoratori all’opzione disoccupazione/morte.  In termini meno cruenti, la stessa logica ha retto la politica delle grandi opere, che ha messo i territori di fronte all’alternativa tra devastazione e desertificazione produttiva.
Su questo determinato rapporto di potere, incompatibile con gli interessi collettivi, si struttura l’attuale modello di “governance” neoliberista: estromissione dei parlamenti con conseguente autonomizzazione  dalla volontà popolare,  decretazione di urgenza, verticalizzazione, espropriazione dell’autogoverno dei territori.
La crisi della rappresentanza politica non si risolve attraverso alchimie istituzionali o riforme elettorali. Di più: le attuali forme di rappresentanza istituzionale – frutto della corruzione del discorso politico, ormai degradato al livello di “opinione” - non possono non promuovere e legittimare altri e ben più prosaici terreni di corruzione, essenziali al controllo sociale.   

3) La crisi è accompagnata dalla frantumazione e dall’addomesticazione sociale ed è agita, tramite l’austerità, contro i luoghi in cui conflitto aveva provato ad aprire spazi di democrazia: i luoghi di lavoro, le università, i territori.
Ed è lì che – contro questa crisi – potranno darsi pratiche democratiche nuove, partecipate, radicali, dal basso. L’obiettivo deve essere quello di impedire il perdurare della distruzione della ricchezza sociale operata per mezzo dei dispositivi proprietari e restituire quel prodotto liberato alle comunità.
Non si tratta solo di attivare tutti quegli istituti di controllo fin da subito utilizzabili, ad esempio lo strumento referendario su base locale o la massima trasparenza delle procedure amministrative.
Si tratta di riconoscere le forme di autogestione e di autogoverno che le comunità locali si danno, rivendicando un potere decisionale sul modo in cui le città e i territori sono costruiti e ricostruiti, sul piano materiale e immateriale.

4) La ricchezza sociale viene distrutta con la cementificazione selvaggia, con la privatizzazione dei servizi, con la scomparsa degli spazi pubblici. Liberare la ricchezza sociale significa – anche attraverso interventi fiscali - immettere l’immenso patrimonio immobiliare inutilizzato (fatto di almeno 6 mila alloggi per Messina, concentrato nelle mani di poche famiglie e società private) nel mercato degli affitti, calmierandone i costi e difendendo pezzi importanti di salario.
Pensiamo al tema della mobilità: da diritto e opportunità strategica per lo sviluppo di questo territorio è, invece, simbolo di inquinamento, di un impressionante spreco di reddito (l’acquisto e l’uso dell’automobile costano circa 400 euro al mese a famiglia) e dell’imbarbarimento di periferie isolate. Liberare la ricchezza sociale significa cambiare radicalmente viabilità e mentalità (dalla cultura del possesso a quella dell’accesso), investendo sul trasporto pubblico, puntando all’abbandono del mezzo privato e mutuando soluzioni praticate dai paese europei ormai da decenni.

5) Liberare la ricchezza sociale possibile significa opporre una resistenza alla grande opera (a cui i governi che si sono succeduti hanno consegnato già 500 mln) e a tutte le forme di svendita del territorio per progetti devastanti e speculativi che qui ci consegna un bagaglio di esperienze per la trasformazione sociale. La resistenza al Ponte, ai depositi per rifiuti militari, a nuove discariche significa voler dare una nuova forma a questa città, secondo un modello diverso imposto dal potere di gruppi finanziari, imprese, cosche mafiose ed apparati dello stato mossi da interessi privati.
La cura dei luoghi, che è stato il riferimento di questa resistenza alle varie forme di espropriazione su cui poggia l’accumulazione della ricchezza, deve diventare risorsa per il futuro, per praticare il diritto a cambiare il mondo e la vita, per reinventare la città in modo più conforme ai più intimi desideri collettivi. Oggi molti parlano di rivoluzione per indicare la necessità di un cambiamento radicale. Lo fanno anche coloro che hanno i piedi ben piantati nel sistema di potere esistente. Noi diciamo che bisogna diffidare dei trasformisti e che il cambiamento sarà radicale  se interesserà nel profondo le condizioni materiali di vita degli abitanti dei territori. Perché, in questi tempi la rivoluzione o sarà urbana o non sarà.  

6) Cogliere le vocazioni del territorio, cartografarne le opportunità, può servire a progettare una città (un territorio) dell’accoglienza sostenibile, una città (un territorio) dell’immateriale, una città (un territorio) della cultura, dello sport, della convivialità pensando innanzitutto agli oppressi e ai poveri di questa città del sud in mezzo a tempi disperati e senza la speranza di poter influenzare quanto li circonda.
L’alternativa comune non può che essere pratica delle lotte. Rifiutare il ruolo di esattori di ultima istanza per la riparazione del debito è fondamentale per i territori.
Così come è fondamentale abolire la modifica costituzionale che introduce il pareggio di bilancio e strozza ogni politica di redistribuzione. La lotta contro le privatizzazioni è, dunque, prioritaria. L’obiettivo della pubblicità dei servizi, dell’istruzione, dell’acqua non va intesa come appropriazione del potere amministrativo, ma come pratica del bene comune, nella forma dell’accessibilità e della partecipazione collettiva alle scelte. Da questo punto di vista, la rivolta popolare contro le caste va acquisita come elemento ruvido, ma positivo se dentro un discorso politico fatto di coalizioni sociali che strutturano la loro identità dentro i quartieri (attraverso i momenti assembleari) e dentro i momenti amministrativi (attraverso i bilanci partecipati)

7) Qualsiasi progetto futuro ha bisogno di risorse. Queste vanno reperite attraverso una razionalizzazione della spesa che elimini tutte le uscite derivanti dal parassitismo della politica. L’attacco alla corruzione e alla clientela è obiettivo prioritario per la gestione dei servizi pubblici e per avviare investimenti nel campo della cura dei luoghi e nella riqualificazione urbana a partire dai quartieri.
Ma una fonte fondamentale per il reperimento delle risorse è la tassazione dei patrimoni e delle rendite e, insieme, combattere l’evasione fiscale, il  lavoro nero (altro momento di distruzione della ricchezza collettiva) e la corruzione. Per quanto possibile ai territori, è necessario colpire la speculazione edilizia e tassare i patrimoni immobiliari e finanziari, pratica che, oltre a reperire risorse, disincentiva il consumo di suolo e salvaguarda dal dissesto idrogeologico.

8) Le risorse a disposizione - raccolte sul territorio e attraverso una vertenzialità con i poteri centrali affinché si abbandonino i progetti devastanti delle grandi opere e si investa nelle infrastrutture di prossimità - devono essere utilizzate per questa inversione di senso nel pensiero del territorio, per la messa in sicurezza sismica e idrogeologica, per la valorizzazione e riqualificazione delle aree urbane, per la ricerca, per le produzioni sostenibili, per il recupero delle aree agricole, per la cultura, per lo sport. Il mutualismo, le forme di auto-aiuto, l’autogestione degli spazi e dei servizi, l’autogoverno del territorio, le banche del tempo, i gruppi d’acquisto solidale, tutte le pratiche del comune, cioè di tutte le forme di gestione diretta che non prevedono appropriazione né pubblica né privata, devono essere sostenute ed agevolate.
Le biblioteche di quartiere, i centri sociali, i teatri autogestiti sono espressioni costitutive di nuova socialità e democrazia dal basso che alludono ad un esercizio comune dei servizi.

9) L’alternativa comune è un nuovo pensiero della politica, che mette in critica il suo essere mestiere e il suo darsi come sinonimo di corruzione. La politica è felicità, è piacere di costruire il presente con gli altri, è gioia nel progettare un futuro per i figli. La politica è dunque, direttamente, pratica della democrazia dal basso, partecipazione, assunzione di responsabilità. Chi si assume compiti delegati deve essere considerato un attivatore delle iniziative, non un decisore ultimo.
I luoghi della discussione collettiva non devono avere il carattere del “pour parler” o dello sfogatoio, ma essere direttamente momenti di decisionalità popolare. Perché questo avvenga la pratica politica deve perdere i propri vantaggi. E’ necessario, quindi, disincentivare chi la persegue per fare carriera e guadagni.

10) Il tempo che viene è il tempo dell’impoverimento o il tempo di una nuova opportunità. Di certo è il tempo di una nuova utopia piantata sul comune che è il lascito di coloro che hanno attraversato il pianeta prima di noi. Costruire l’Alternativa significa costruire nuove forme di militanza, di azione e di riflessione collettiva sul proprio agire, tenendo insieme la rivendicazione dei diritti e la soddisfazione di bisogni, ricostruendo le trame, riannodando i fili, contaminando le relazioni.
Sta a noi giocarcela o lasciare che i dispositivi dei mercati finanziari ci stritolino e ci trascinino in una deriva senza fine. Battiamoci perché il tempo che viene sia il tempo della cura dei luoghi.



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